La distinzione fra “cibo pulito” e “cibo sporco”
La distinzione fra “cibo sporco” e “cibo pulito” è del tutto soggettiva e priva di senso. Non esistono alimenti magici che fanno dimagrire e alimenti da bannare in modo assoluto dal nostro piano alimentare.
In un articolo “The Dirt of Clean Eating (2011)” il nutrizionista Alan Aragon presenta come è letteralmente impossibile definire obiettivamente il “clean eating”.
Definizioni incoerenti di cibo pulito nel corso degli anni
Nel corso degli ultimi decenni, a partire dagli anni 80 con l’inizio della fitness revolution, i media ci hanno bombardato con definizioni incoerenti e contrastanti di “cibo sano e pulito”.
Negli anni 80 erano i grassi i demoni incontrastati sulle nostre tavole e le aziende alimentari lanciavano prodotti fat-free o reduced-fat, per aiutare i consumatori a seguire uno stile alimentare sano. Paradossalmente rispetto a quanto crediamo oggi, i grassi vegetali idrogenati erano considerati un’alternativa superiore per la salute del nostro organismo.Poi in seguito, negli anni 90, si creò la dicotomia fra grassi insaturi e grassi saturi o “cattivi”. I rossi d’uovo e le carni rosse erano demonizzati perché ricchi di colesterolo, mentre si promuoveva una dieta a base di cereali meglio se a basso indice glicemico. Picchi d’insulina frequenti durante la giornata erano considerati dannosi per la salute e quindi si consigliava di suddividere la giornata in tanti piccoli pasti al giorno per controllare i livelli d’insulina e per accelerare il metabolismo.
Nel 2000 ci fu l’amnistia contro i grassi saturi/colesterolo e i grassi vegetali idrogenati diventarono il nemico pubblico numero 1. Gli Omega 3 e l’olio di semi di lino presero il loro posto come grassi “buoni”. Nella stessa decade i carboidrati cominciarono ad essere presentati dai media come più dannosi per la salute rispetto ai poveri grassi. Lo zucchero in particolare fu definito come veleno e cominciò il boom dei vari dolcificanti artificiali.
Fino ad arrivare ai giorni nostri dove la definizione di “clean eating” è diventata ancora più assurda ed incoerente. Ci sono i sostenitori della cosiddetta Paleo Diet che incoraggiano un ritorno alle abitudini alimentari dei nostri antenati del Paleolitico, eliminando cereali, legumi, latticini, sale, zucchero, alcool ed alcune verdure dal proprio piano alimentare. Secondo questa filosofia di pensiero ci dovrebbe essere un ritorno alle origini dell’umanità ma, allo stesso tempo, molti dei suoi seguaci sono tra i più assidui consumatori d’integratori per lo sport ricchi di coloranti, conservanti o ingredienti processati che non hanno nulla a che vedere con quelli che i nostri progenitori trovavano negli arbusti del Paleolitico. La frutta e la verdura hanno più o meno sempre mantenuto l’etichetta di “cibo pulito” nel corso degli ultimi decenni ma oggi sembra che i prodotti senza pesticidi e a coltivazioni biologica siano nettamente “più puliti” rispetto alla frutta e verdura convenzionale, senza riguardo ai costi al dettaglio enormemente maggiori.
Negli anni 90’ i picchi insulinici provocati da fonti di carboidrati ad alto indice glicemico erano evitati come la peste ma, al giorno d’oggi, una fonte di carboidrati a basso indice glicemico come il fruttosio della frutta è vista come nemico numero 1 per la nostra salute.
Non esiste il “cibo pulito”
E’ chiaro dunque che non esiste una definizione comune ed obiettiva di “cibo pulito”. Alle domande che ricevo sulla chat del sito del tipo: “Posso mangiare riso bianco in definizione? Posso mangiare la frutta in definizione? Posso mangiare il gelato, la cioccolata?” rispondo sempre con “Certo, a patto che rientri nei tuoi macros”. Il problema sorge infatti solo quando si vede, si legge e si ragiona solo in termini di bianco o nero: chi da una parte sostiene che un bodybuilder deve mangiare solo pollo, uova, tonno, patate, riso e manzo e chi dall’altra mangia merendine ed alimenti industriali dalla mattina alla sera recitando il mantra IIFYM (If It Fits Your Macros). La verità, come in tutte le cose, sta “nel mezzo”, l’equilibrio sta nella flessibilità e nella pratica della moderazione.